(Della edizione italiana de Ed. Mediterranee, Roma 1993)
CAPITOLO V
IL MONDO PRECOLOMBIANO
Come gia si è notato, il panorama offertoci dalle culture precolombiane è vasto e complesso, sebbene le vestigia rimaste, nella loro grandezza, siano più che sufficienti - nella loro evidenza - per poter ricostruire tali culture nella loro essenza. Dagli Eschimesi e gli Indios dei Canada e del Nord America, fino agli Arauca e alla pampa del Cile e dell'Argentina, si diffonde un immenso complesso di miti, tradizioni, simboli, riti, usi e costumi, forme di vita, etc., che, nonostante la loro varietà, si articolano coerentemente proiettandoci un'immagine di ciò che furono queste culture prima della conquista e della colonizzazione; anche se molte di loro già allora si erano perdute - o fuse con altre - o si trovavano più o meno modificate rispetto alle loro origini, condensate in forme minori in seguito ad avvenimenti storici, col concorso di ragioni politiche ed economiche.1 D'altra parte, all'arrivo degli europei questo enorme rompicapo di culture si trovava in differenti stadi di 'sviluppo'. Questo 'sviluppo' al quale noi ci riferiamo, non è in nessun modo 'progressivo', come un'avanzata compatta e lineare dell'uomo quale membro dell'evoluzione della specie o come inventore degli 'avanzamenti' scientifici, ma piuttosto qui è considerato sotto l'aspetto delle differenti tappe cicliche -nascita, gioventù, maturità, decadenza - nella quale normalmente si sviluppa qualsiasi cultura, per poi finalmente scomparire, e tornare a sorgere in un'altra forma, che si genera a partire dai germi antichi, e che avrà ugual sorte delle sue precedenti e di quelle che seguiranno.

Questo è particolarmente chiaro nell'America Antica, dove i resti di vecchie civilizzazioni scornya convivevano - e convivono - con nuove maniere e modi culturali, in distinte tappe evolutive, per diversi motivi particolari, cosa che configurava un complicato mosaico di popoli, una moltitudine di usi e costumi, di forme e colori molteplici e cangianti, a volte coesistenti in una stessa società, però con un supporto, una struttura comune, formando così un tutto vivo e dinamico. Era insomma come un insieme di cicli in rotazione, in relazione fra loro, che si contenevano gli uni dentro gli altri, e questi a loro volta in terzi, etc., così che tutti, direttamente o indirettamente, erano integrati in un continente: se anche erano ingranagi indipendenti, erano però tutti legati tra loro, incastrandosi con altri, a formare la mappa o il panorama completo dell'America Antica.

Come si sa, questa non è stata una prerogativa esclusiva dei precolombiani, poiché le società e i regni d'ogni parte hanno avuto queste stesse caratteristiche d'indipendenza e integrazione fra loro, solo uniformate dall'apparizione degli imperi, o scherni analoghi, che devono assumere forme totalizzanti e rigide, e imporsi con la forza delle armi, assoggettando i loro vicini. Sembrerebbe comunque, da un punto di vista storico e ciclico, che gli imperi siano imprescindibili, sebbene abbiano assunto forme tanto militarizzati e abusive, che perfino la tradizione stessa è utilizzata come strumento di potere, il che potrebbe essere stato il caso dei governanti Aztechi e Incas che, senza dubbio, portarono i loro popoli alla massima organizzazione, attività e fioritura dal punto di vista della qualità.2

D'altra parte molte delle società tradizionali si erano costituite come nuclei differenziati che formavano famiglie, che senza dubbio non sempre procedevano in maniera omogenea. Dobbiamo anche dire che queste disuguaglianze si complicarono ancor più nell'epoca dell'invasione europea, dal momento che ogni diverso popolo ricevette un tratto differente, e reagì in maniera propria di fronte alla conquista, facendosi protagonista della sua storia. Senza dubbio, e nonostante questo, desta meraviglia che sussistano tante analogie - evidenti a prima vista - fra gli indiani americani del nord, dei centro e dei sud. A volte le distanze che separavano questi innumerevoli popoli fra loro erano appena quelle percorribili in uno o due giorni di marcia, anche se in altri casi potevano essere enormi. Comunicavano fra loro per il commercio o per la guerra, e in questo modo s'influenzavano reciprocamente. però a volte, e per tantissimo tempo, e per diverse circostanze, se ne stavano più o meno isolati e divisi. Popoli di questo tipo coesistevano perfettamente nello stesso continente geografico e nello stesso tempo storico; derivavano da un nucleo maggiore che li comprendeva tutti, da un'origine comune, nonostante la moltitudine delle loro forme e nonostante lingue e caratteristiche secondarie, sia che questi popoli fossero al momento della 'scoperta' nomadi, o si trovassero in decadenza o avessero raggiunto la vigorosa pienezza del loro potere; allo stesso modo potevano essere semplici raccoglitori, o esseri già capaci di esprimersi in ideogrammi o sistemi di calcolo tanto complessi come i loro calendari. Credere che i popoli nomadi siano non ancora evoluti, è credere in un sistema storico progressivo, ufficiale e immaginario, dove il genere umano da scimmia o pesce giunge finalmente ad essere 'esecutivo', cosa che si rivela tanto evidentemente falsa non appena ci si permetta di osservare la realtà storica più elementare, tanto che anque un ignorante in buona fede si accorge subito dell'inganno. Molti popoli nomadi furono precedentemente sedentari, e vari di essi sono stati l'una e l'altra cosa n- corso della loro storia, come è il caso di Israele. Le culture nomadi -e lo stesso vale per le 'primitive' non sono né arretrate né inferiori, in quanto si pretende di assegnar loro una categoria semi-evoluta, o le si confonde con orde di selvaggi. Nell'apogeo della tradizione islamica, per fare un esempio, esse hanno coesistito con la magnificenza e lo sviluppo delle grandi città, senza nessun tipo di interferenza, ma piuttosto complementandosi, come è facile osservare, ricordando che effettivamente l'Islam è la religione dei deserto.

Questa modalità culturale sussiste ancor oggi e i popoli che vivono in questo modo non smettono di osservare le loro tradizioni, anzi le mettono in pratica in perenne vigilia di pericoli e marce, nella reiterazione rituale di giornate successive, nelle loro leggi, usi e costumi, e nei loro principi di Conoscenza, trasmessi dall'iniziazione ai misteri cosmogonici - come in qualsiasi società sedentaria - espressi nei loro simboli e manifestazioni culturali. Al contrario dei sedentari, per le caratteristiche proprie del pellegrinaggio, questi gruppi sono meno condizionati, e vivono più direttamente la dimensione del movimento e del tempo. Inoltre nella pianura, lo spazio che generalmente percorrono, il cui paesaggio è l'immensità del firmamento, la loro comunicazione con il cielo, le stelle e l'intorno sono molto maggiori che nelle città; il loro integrarsi con la natura, che per essi è l'immagine del soprannaturale, è innegabile, giacché dipendono dai suoi cicli e dalle sue modalità per la sussistenza, poiché in genere sono raccoglitori, o cacciatori, o pastori, o pescatori. Un altro aspetto che si dimentica è che la maggior parte dei popoli chiamati nomadi sono in verità seminomadi, poiché il loro insediarsi - a volte prolungato - in determinati luoghi, ha fatto sì che praticassero l'agricoltura, dov'era possibile, o si stabilissero periodicamente in certi luoghi.3 Questo è il caso di numerose culture precolombiane considerate a un livello di ignoranza, in confronto alle forme delle società sedentarie o urbane, cristallizzate, solidificate e anchilosate, tali da apparire necessariamente rigide dal punto di vista della libertà dei movimento nomade, riflesso di uno stato primordiale.

Non si suole neppure ricordare che, per i Greci, la presenza della statua classica come modello di ritmo, armonia e perfezione, cioè come espressione della Bellezza - attributo degli dèi - era direttamente erede della pietra grezza, espressione naturale e testimonianza diretta dell'energia divina. Effettivamente, una bella statua levigata in modo perfetto, rappresenta già una forma indiretta della presenza sacra, poiché si manifesta sotto le sembianze di una forma e di una valutazione estetica, sempre relativa, anche se nell'intenzione dell'artista vi è il desiderio di dare un'espressione alla pietra, e rivelarne l'intima bellezza. 1 popoli nomadi, o quelli erranti, essendo in costante contatto con il cielo, hanno bisogno di poche immagini intermediarie, e la loro relazione con il celeste non è mai stata discussa, fatto per cui in nessun modo sono inferiori ai popoli sedentari, né devono essere considerati uno stato embrionale di quelli.

Riguardo all'origine storica dei popoli americani, la scienza moderna ne ha dato un'immagine tanto primordiale che qualsiasi apprezzamento riferito a queste civiltà, è stato inquadrato sotto questa prospettiva, con la conseguenza di aver impedito tanto la possibilità di esaminare l'unità delle tradizioni indigene - stravolte nel significato delle loro espressioni culturali - quanto di evidenziare la grandiosità delle loro civiltà. Fino ad oggi si è mantenuto questo atteggiamento, dovuto al fatto che gli 'scopritori', conquistatori e colonizzatori hanno creduto, continuano a credere, e fanno credere, che l'alba di queste società è iniziata con il loro intervento o il loro arrivo. Quello che non sanno è che questa concezione che tanto ostentano è dovuta al fatto ch'essi si sentono padroni della storia, che loro stessi hanno istituzionalizzato, che pensano sia un ramo della divinità 'scienza', l'unica verità; credono inoltre nella storia ufficiale, della quale essi stessi sono i rappresentanti, giacché secondo la loro opinione, prima dell'invenzione di questa disciplina non esisteva la cronologia, e pertanto la vita.4

Dal punto di vista degli Indios che, a milioni, abitavano e abitano il continente, e che continuano a misurare il loro tempo, la loro vita e il loro nome in modi diversi, si trattava - e si tratta - semplicemente di una intrusione, una occupazione ottenuta a base di menzogne e violenze, portatrice di valori cui non si integrarono allora, né si integrano veramente oggi, per le loro caratteristiche profane. D'altra parte, il fatto che gli europei rinascimentali abbiano 'scoperto' l'America, ci fa domandare: davanti a che cosa o a chi si è verificato tale evento? E qui si ritorna ad incontrare il medesimo punto di vista su cui prima si è equivocato: e cioè che si considera la storia -dell'Occidente, è chiaro come una istituzione legale e scientifica, assolutamente verace, come una realtà indipendente, che la rende inappellabile e indiscutibile. Tutto questo apparato d'invenzioni deve perciò negare ogni verità che non cada sotto il suo rigido dominio, o che oppure le sia sconosciuta, e pertanto considerata come inesistente: in questo caso tutto il continente americano, tutte le sue culture e le sue civiltà, delle quali fino a quel momento non si era tenuto conto.

Nacque pertanto, da quel momento, anche la necessità di trovare a queste culture un'origine, una ufficialità, una classificazione, di etichettarle e legalizzarle per consumarle, per renderle 'digeribili', senza che dessero molto disgusto e neppure troppa sorpresa. In quanto alla 'scoperta', risulta tale solo da questa prospettiva, cioè quella occidentale e storica, poiché da un lato tale 'scoperta' sarebbe reciproca, e dall'altro è risaputo che queste culture ebbero contatti tra loro e anche con altri continenti, attraverso i mari, come è sempre stato con tutti i popoli del mondo. Il pregiudizio più deplorevole di tutti però, senza dubbio, è quello del progresso associato alla evoluzione, che si traduce nelle 'teorie' che considerano l'uomo discendente dalla scimmia, ed altre degenerazioni trasformistiche. L'autore non è il primo ad affermare che le tesi darwiniane ed 'evoluzioniste' costituiscono il primo apporto al genere letterario di 'science-fiction', perfezionato più tardi dal padre Theilhard de Chardin. Certamente non vorremmo insistere su questi temi che non ci riguardano direttamente, poiché per il nostro lavoro ci interessa il simbolo in sé e le idee o princìpi universali che manifesta, conformando le culture; tuttavia non vogliamo tralasciare di segnalare queste anomalie con le quali è stata dipinta qualsiasi visione 'scientifica' del mondo precolombiano.5

Una ricerca integrale dell'antico panorama americano deve cogliere i suoi elementi fondamentali dai simboli culturali, con l'aiuto di quelle che oggi si chiamano antropologia, etnografia, archeologia, linguistica, etnobotanica, economia; e inoltre le scienze sociali, e certamente anche l'astronomia, la matematica, l'architettura e l'arte, etc.. Tutte queste fonti si sintetizzano e hanno origine in una sola realtà: quella dell'uomo, l'umano, tale come fu valorizzato dagli americani, preso in considerazione da un punto di vista tradizionale, quindi non sotto la prospettiva che accordiamo oggi a ciò che è proprio dell'esistenza umana.

Poiché è attraverso l'uomo tradizionale e i suoi simboli che possiamo avvicinarci a noi stessi e riconoscerci come esseri umani nella loro integrità, per mezzo della comprensione che ci offre la via simbolica, che agisce come un supporto, e un cammino ordinato di conoscenza, rivelandoci la nostra identità e la nostra vera origine extratemporale, come quella del mondo.

In generale, le persone di media preparazione culturale hanno un'idea del precolombiano che, nel migliore dei casi, si limita a ricordare il nome di alcuni popoli misteriosi chiamati Inca, Maya, Aztechi. Lungi dall'esser così, sono invece state moltitudini, come dicevamo, le culture precolombiane nel passato, e quelle che ancora isolate, remote e frammentate, sussistono ancor oggi. Tanto gli Aztechi come gli Inca al tempo della conquista erano popoli militarizzati che formavano due grandi imperi, e appena gli si attribuiva qualche secolo di vita; erano nel loro apogeo guerriero, organizzativo e commerciale, essendo giunti a costituirsi come tali, grazie alla degradazione generalizzata dei popoli intorno a loro, fatto che segnò il loro destino storico.

In realtà lo sconosciuto mondo precolombiano, visto nel suo insieme, viveva in quel momento un dramma interno, una disgregazione interiore, che rese possibile la conquista europea, profetizzata unanimemente dai suoi sacerdoti, come è noto nel caso del Messico e del Perù (così come nelle Antille, in Brasile e in Nord America prima dell'arrivo del Capitan Coronado, etc.). E sebbene questi due imperi dominassero gran parte del continente, anche se non nella sua totalità, vi era comunque grande libertà riguardo le credenze di ciascun popolo soggetto a tributo, perché, nonostante le divinità locali, le basi delle varie dottrine, la concezione del mondo, e la sua forma nel simbolizzarlo, erano essenzialmente le stesse; e ancora, le tradizioni e le conoscenze che questi popoli avevano fatto proprie, derivavano da un'origine comune, anche se concretamente, nel caso di questi due imperi, erano derivate dai primi Aztechi e Incas, dalle culture più complesse, e già in decadimento, dei loro saggi predecessori e vicini, ora soggiogati dal regime imperiale.

Potremmo immaginare un'immensa inquadratura cinematografica all'altezza necessaria per poter abbracciare tutto il continente americano. L'immagine rimane congelata, l'obiettivo fisso, e osserviamo così con attenzione i movimenti che si producono in esso nel 1492, alcuni giorni prima dell'arrivo degli spagnoli, come una danza ritmica di gesti armonici e coordinati, un alveare ribollente di attività, pieno di vita.6

Si calcola che allora vivessero in America più di cento milioni di persone organizzate in migliaia di centri e frazioni indipendenti. Solo in Messico e negli Stati Uniti si parlavano circa cento famiglie di idiomi differenti. A questo dobbiamo aggiungere la molteplicità di usi e costumi, cerimonie, feste, indumenti e credenze locali, così come caratteristiche razziali molto differenti. I climi, i luoghi geografici, la loro flora e fauna, determinarono innumerevoli particolarità di questi popoli che, di conseguenza, si manifestarono in svariatissimi modi; così ci sorprendono e dilettano per la ricchezza dei contenuti, e per le numerose forme (che si distinguono e si differenziano fra loro), sorrette da una base comune, da una struttura invisibile, che è quella che dà unità all'insieme, e differenziandolo allo stesso tempo dal Vecchio Mondo; tale struttura comunque si manifesta soprattutto attraverso i suoi simboli e miti, e si esprime nelle loro cosmogonie, teogonie, credenze e modi culturali.

Se facessimo scendere la nostra grande ripresa cinematografica panoramica per mettere a fuoco un punto qualsiasi della mappa americana, incontreremmo dunque un nucleo culturale in piena attività che, all'essere studiato nella sua essenza, ci trasmetterebbe una struttura, un sistema simbolico, perfettamente omologabile e coerente con quello di qualsiasi altro nucleo, che volessimo o potessimo studiare. Certo questo si deve in gran parte al fatto che le strutture archetipiche sono sempre le stesse, in ogni tempo e luogo, però soprattutto - e questo è ciò che ora ci interessa poiché costituisce uno dei motivi di questo libro al fatto che i simboli precolombiani conformano un insieme di moduli specifici, tipicamente americani, che configurano forse l'espressione più vasta della conoscenza cosmogonica tradizionale.

Potrebbe sembrare, da una prospettiva superficiale che, considerando il simbolo nella sua scarna radice, nella sua nuda sintesi, esso rischierebbe di perdere gran parte dei suoi splendidi molteplici aspetti e della sua colorata attrattiva; ma uno sguardo più attento ci fa intendere che, grazie alla conoscenza del simbolo e degli schemi simbolici, non solo possiamo comprendere l'essenza e il pensiero di questa civiltà e cultura, ma inoltre gustare realmente, assaporare diremmo, e ammirare, l'ìmmensità, la ricchezza, l'armonia, la maestà e l'originalità delle svariatissime forme precolombiane, specchio di quelle dei mondo intero.
 

L'ANTICA AMERICA

Desideriamo mettere in rilievo alcuni valori della Tradizione Precolombiana che, in generale, non sono ben conosciuti, per diversi motivi. Ci interessa in particolare proseguire sottolineando certi aspetti esoterici dell'Antica America, data la scarsa importanza che la scienza ufficiale riconosce ai simboli tradizionali delle diverse culture, che senza dubbio costituiscono il linguaggio nel quale si espressero le civiltà che ci hanno preceduto, dalle quali, lo voglia o no, l'uomo moderno ha ricevuto tutto; eredità, d'altra parte, che si è incaricato di dilapidare in ogni senso, trovandosi di fronte in questo momento alla irreversibilità dei suoi atti.

Iniziamo dando alcuni dati su diversi aspetti degli Indios americani, dagli Eschimesi ai nativi della Terra del Fuoco; dall'artico all'antartico, passando per i tropici e la linea equinoziale. Se cominciamo con gli Eschimesi, incontriamo un popolo che, nonostante le sue abitudini siano direttamente in relazione con il suo ambiente e clima, possiede molti tratti comuni con le culture che cominciano ad estendersi verso il sud, anche per l'utilizzazione di strumenti che si incontrano in altre culture americane. Questo è il caso dei 'lanciadardi' ,7 che si trovano in regioni tanto lontane come il Paraguay e il Brasile, e praticamente in tutta l'America indigena. Sono anche stati cacciatori di teste (testa-trofeo), caratteristica di tutto il continente, sebbene questa tradizione si ritrovi anche altrove; portano i loro figli sulla schiena in certi 'involti', costume che si troverà in modo unanime più al sud, ed è ancora comune nei paesi di origini indigene.

Gli Eschimesi sono, comunque, soprattutto un esempio, un modello, di tutto ciò che si troverà fra gli indigeni americani. Ci riferiamo particolarmente al fatto che questa cultura forma in sé, da sola, un mondo ricchissimo e pertanto un campo di lavoro immenso, come, allo stesso modo, gli altri popoli situati più a sud, coloro che' sopra un fondo o una base simbolica e culturale somigliante, hanno caratteristiche proprie e una complessa fisionomia individuale. Gli stessi Eschimesi sono varie tribù distinte, che per secoli, e nel loro continuo movimento, hanno popolato non solo l'Alaska, ma tutto l'artico. Se discendiamo per la mappa geografica incontriamo gli Indios che oggi abitano il Canada e gli Stati Uniti; innumerevoli popoli, che parlavano idiomi distinti e avevano organizzazioni sociali, abitudini di vita, e usi e costumi differenti, il che li identificava come vere nazioni. Molte di esse erano molto somiglianti fra loro, generalmente in virtù della vicinanza o dell'area ecologica, però altre erano in condizioni molto diverse, a cominciare dalla lingua; e comunque, si dà il caso che società moltodistanti abbiano particolarità comuni, incluse lingue affini.

L'insieme dell'America Antica dà l'impressione di una grande Tradizione madre che sia andata diramandosi in famiglie di nazioni, che a loro volta hanno subìto diverse evoluzioni, cambi interiori e influenze esterne. Tutte queste tribù, al momento della scoperta, erano anche società guerriere, che lottavano perennemente tra loro nell'estensione dei continente, fatto che, sia detto per inciso, facilitò la conquista degli europei, che, accortisi di questa realtà, la utilizzarono a proprio vantaggio mediante alleanza con terzi.

Desideriamo nuovamente porre in evidenza Che, nonostante questa moltitudine di forme ed esplosione di colori nelle quali si manifestò l'America Precolombiana, i simboli nei quali espressero le loro conoscenze sono analoghi, e si riferiscono unanimemente alla stessa cosmogonia prototipica: ciò vale sia che fossero questi indigeni nomadi, raccoglitori, cacciatori, o seminomadi in procinto di diventare agricoltori, o anche abitanti di città-stato, o città-impero. In quelli che sono oggi Stati Uniti e Canada, vi erano in maggioranza nomadi e semi-nomadi, divisi in regni ben distinti, per diversità geografiche e climatiche.

Queste culture nomadi non sono tuttavia in alcun modo inferiori a quelle sedentarie, e abbisognano invero di pochi elementi (sebbene le loro combinazioni siano sottili e delicate), per poter mettere in relazione gli elementi necessari alla comprensione del mondo, e al saper vivere armoniosamente in esso; ciò è possibile per l'indole sintetica, poliedrica e magica del loro pensiero arcaico, che lega costantemente, per analogie, i segnali e i segni della manifestazione visibile, con le energie e le divinità invisibili; divinità che si esprimono perpetuamente mediante gli esseri e i fenomeni naturali.

La città media, o la città-stato, è un passo più sofisticato, e comporta una serie di elementi raffinati che sviluppano, sostengono, e integrano le conoscenze cosmogoniche ancora espresse in forma originaria. Un altro passo, ancora maggiore, è quello della grande città, esponente di una civiltà e centro di irradiamento culturale anche a grandi distanze. In tal caso lo splendore di una civiltà è noto e si manifesta nel suo apogeo, che è, senza dubbio, l'inizio della sua fine.

Come nel ciclo solare, quando l'astro giunge al suo punto più alto, è il momento in cui deve discendere. Questo è valido per qualsiasi ciclo vitale, e per qualsiasi organismo, sia quello dell'uomo o quello sociale, per il quale anche le culture nascono, si sviluppano, maturano e muoiono; anche le civiltà che ci hanno preceduto sono state soggette a questa legge, come lo siamo noi. Questo anchilosamento, indurimento e solidificazione, diventa manifesto nel simbolismo costruttivo, in cui è visibile come i popoli nomadi e semi-nomadi, diventando sedentari, cambiano le loro tende di cuoio in case di legno, per giungere infine ad edifici in pietra.8

Le prime città-stato cominciano ad osservarsi al sud degli Stati Uniti, e si estendono alternandosi con le città-impero, o grandi città, per tutto il continente fino al nord dell'Argentina e del Cile, a partire da dove si tornano ad incontrare popoli e tribù nomadi e semi-nomadi.

Riguardo a queste città o civiltà, vogliamo osservare come gli europei dovessero, anche se da un punto di vista profano, avere chiaramente avvertito l'ordine, l'accordo, e la innegabile ricchezza di molte delle loro creazioni culturali, cominciando dalle più semplici ed evidenti, per culminare nelle complesse cerimonie in accordo con i loro pantheon e le loro sofisticate e splendide corti, e nel risalto della figura del re, nel suo palazzo, come nel fasto e nelle bardature, nei simboli di sovranità, nella sua corte, etc.; per questo richiama l'attenzione il fatto che gli invasori non si siano interessati di conoscere l'idiosincrasia dei conquistati, sebbene un semplice soldato fosse in grado di capire che li esisteva un ordine, una urbanità.

Fra le civiltà americane più importanti dobbiamo segnalare, in base ai loro monumenti, quelle del Mesoamerica: da nord a sud, quelle della Valle centrale del Messico, cominciando da Teotihuacàn, seguita da Monte Albàn,9 e dalle città Maya. Comunque questa classificazione è del tutto generale, e tralascia culture intere che oggi sono state studiate tanto dalla Archeologia come dalla Antropologia.

Seguendo il percorso, osserviamo che nel Sudamerica appaiono grandi centri cerimoniali e urbani in Perù e Bolivia; è certo che molti di questi sono pre-incaici. Tuttavia rimangono ancora città e centri da scoprire, e si deve ricordare che nella maggior parte delle rovine conosciute, gli scavi e la pulitura sono stati effettuati in questo secolo. Per avere un'idea della magnitudine di queste civiltà, o grandi centri, diremo che solo nell'area Maya ne sono esistiti più di venti, sebbene all'arrivo degli spagnoli in questa zona fossero passati già cinque secoli dalla luminosa epoca oggi chiamata classica.10

Ciascuno di questi popoli precolombiani era molto numeroso: per dare un'idea, Tenochtitlàn, la capitale degli Aztechi, descritta con ammirazione dai cronisti che la conobbero, aveva circa trecentomila abitanti. Non tutti i centri avevano tale densità di popolazione, è ovvio, però ricorderemo che centinaia erano le tribù e i regni che si estendevano in lungo e in largo per l'America.

D'altra parte, questa popolazione scese a meno della metà durante i primi anni della conquista, a causa di malattie (varicella, morbillo, etc.), guerre, persecuzioni di ogni genere, fra cui cani addestrati ad uccidere i nativi;11 inoltre suicidi collettivi per disperazione e profonda angoscia, annientarono gran parte degli indigeni, mentre dei pari venivano svalorizzate le loro credenze e istituzioni.

Desideriamo indicare che sulla cosmovisione e la teogonia precolombiane (così come sugli usi e costumi, organizzazione sociale, politica ed economica, le storie, le lingue, i tipi etnici, e qualsiasi altra specificazione sulle antiche culture americane), si può trovare un vastissimo materiale di informazioni, tanto nei codici o testi indigeni, come nell'opera dei cronisti spagnoli delle Indie (i quali diedero vita a un genere all'interno della letteratura spagnola), come nei documenti storici, e nelle relazioni di viaggio e anche nel lavoro di antropologi, archeologi e ricercatori in generale; tanta ricchezza di informazioni facilita la ricerca degli studiosi, specialmente di quanti sono interessa ai simboli come trasmissori delle conoscenze cifrate delle grandi tradizioni, e come mezzo per penetrare i loro segreti; ciò presuppone negli interessati, uno spirito senza pregiudizi quando non una modificazione completa della loro mentalità, segnata e corrotta dal condizionamento impostole dai criteri esclusivamente materiali e strettamente limitati della ignoranza contemporanea.

Questi simboli si incontrano ovunque in qualsiasi manifestazione della cultura precolombiana, poiché si esprimono in tutte le attività umane; tra queste, nella scrittura pittografica, ideogrammatica e geroglifica, alcune con elementi fonetici. Ugualmente nelle loro storie mitiche (il Popol Vuh, per esempio) rappresentate in forma rituale da enormi masse di attori, ballerini, cantanti, recitanti e musicisti, adornati con vesti e pitture cerimoniali, che incarnavano le energie di diversi spiriti e numi; cosi essi teatralizzavano la loro cosmogonia, che veniva rappresentata in uno spazio geografico sacro (specchio della città dell'aldilà, del cielo), dove queste storie come i gesti esatti e precisi -solo mutabili per diverse coreografie e scenografie stabilite nel loro calendario festivo - venivano continuamente ripetuti, perché fosse possibile la vita dell'uomo e dei cosmo.

Si immagini quale grado di potere e raffinatezza doveva avere un popolo che reiterava costantemente e ritualmente la sua cosmogonia, e la sua storia mitica e simbolica esemplare, incarnandola quotidianamente in cerimonie di questa natura, tutti i giorni dei mesi dell'anno, e ogni anno della sua vita. Comunque i loro simboli si fanno più chiari, essendo numerici e riferiti allo spazio-tempo, soprattutto nei calendari mesoamericani. Questi meccanismi astronomici e astrologici di base matematica, fondati sulla natura ciclica e ritmica di tutta la realtà, stabilirono i modelli di tutta la cultura di quei popoli, e contrassegnarono l'esistenza individuale e collettiva, dal momento che l'essere stesso, e il suo nome, erano in accordo ai periodi cosmici, considerati come divinità.

Questa straordinaria invenzione - nella quale armonizzavano lo spazio e il tempo attraverso il continuo movimento, con gli astri, i colori, i sapori, le malattie, gli animali e i vegetali le pietre, le costruzioni umane, i diversi dèi, i fenomeni naturali, l'agricoltura, la guerra e la pace, le profezie, e tutto ciò che è possibile immaginare - è di una armonia perfetta; soprattutto quando si consideri anche che la lettura di tali calendari è mùltidimensionale, e che i distinti piani nei quali si manifesta questa costruzion ammirevole - specchio e modello dell'universo - si trovano indissolubilmente fusi, senza disordine, e, per analogia, assolutamente in corrispondenza con la natura stessa degli esseri, dei fenomeni e delle cose. Detti calendari erano l'espressione più perfetta della loro cosmovisione, e, basandosi su di loro, questi popoli strutturarono le loro civiltà; erano sempre i calendari a fissare le feste rituali e tutta l'attività individuale, a rappresentare la magia della cosmogonia nel suo perpetuo ricrearsi, allo stesso modo di come lo facevano le grandi cerimonie di rappresentazione mitica già menzionate. Desideriamo nuovamente ricordare che tutte le strutture culturali precolombiane, inclusa l'organizzazione sociale, derivavano dalla loro cosmogonia.

E curioso come la stessa visione dei mondo possa rivestirsi di tanti dettagli differenti e matrici distinte, come è il caso delle numerose nazioni indigene. Da una matrice comune nascono figli differenti, che si distinguono individualmente; culture, civiltà o imperi, tanto dissimili in apparenza come l'Azteco e l'Incaico, rivelano, attraverso i loro simboli numerali e di spazio-tempo, i loro miti e le loro concezioni rituali, un'origine comune. Gli aspetti essenziali, centrali o assoluti delle loro culture sono uguali; variano solo gli elementi che non ne costituiscono l'essenza, marginali e relativi. Assumono distinte forme e anche si esprimono in pratiche opposte, però senza dubbio manifestano la stessa istanza (ci preme sottolineare che precisamente questo è ciò che capita con le diverse espressioni della Filosofia Perenne).

Effettivamente, da un'origine comune, e cioè da una Tradizione Unanime (che è atemporale e a-spaziale, essendo archetipica), derivano le distinte forme e i colori delle manifestazioni particolari; in questo caso culture e civiltà (molte delle quali tuttora praticamente sconosciute) come quelle create dall'uomo rosso; di queste vogliamo offrire un'immaggine, come un invito al loro studio, con il fine di conoscere mediante la ricerca e la comprensione effettiva dei loro codici simbolici - la struttura dell'Universo e la loro cosmovisione, che è, inoltre, l'espressione prototipica di una società Tradizionale o Arcaica. In verità, conoscere realmente la cosmogonia archetipica è essere 'uno' con essa, dare fondamenti all'ontologia come base di un'autentica metafisica: ciò significa ereditare il messaggio lasciatoci dall'antichità, perfettamente valido per qualsiasi circostanza di tempo e luogo, compresa quella nostra.Traduzzione: Agnese Sartori

NOTAS
1 Se per esempio studiamo gli Indios degli Stati Uniti e dei Canada, vediamo che costituiscono in se stessi un vero e vastissimo complesso socio-culturale, un mondo che, sebbene circa un paio di secoli fa in molti casi era ancora vivo, nell'attualità praticamente è stato eliminato, soprattutto se si considera la completa invasione dei mezzi di comunicazione, che, ove giungono prima o poi, distruggono, cambiando, e uniformando il poco che ancora resta delle società autoctone, e dei loro valori. 
2 L'impero sorge nel momento culminante di una società e, paradossalmente, segna l'inizio della sua inesorabile discesa.
3 Inoltre si confondono i popoli che per molto tempo hanno peregrinato (com'è il caso di numerosi popoli precolombiani che hanno vissuto come nomadi per motivi sacri e simbolici, che costituivano la loro cultura e la loro unità sociale) con semplici orde di raccoglitori in stato semi-selvaggio o 'primitivo'. Forse con gli Aztechi si produce più notoriamente questo ingiusto equivoco, che immediatamente si dissipa non appena si studino le istanze della loro peregrinazione - che si trovano documentate presiedute e ordinate da un dio, da un capo-sacerdote, e un consiglio sapienziale esecutivo. D'altro canto si deve segnalare la costante mobilità dei popoli precolombiani nel corso della storia e nell'ampiezza geografica. É molto interessante cogliere similitudini e identità fra società molto distanti geograficamente che devono essere state molto unite, o essere state una sola in tempi remoti. 
4 Nessuno si chiede da dove vengono altre culture e civiltà del mondo con tanta enfasi come accade per quelle pre-ispaniche. Ciò succede poiché per l' Antichità e il Rinascimento, le altre culture erano più o meno ubicate geograficamente, e pertanto, 'già erano'. Poiché l'America 'non era', i suoi abitanti dovevano essere una specie di 'aggregati' spuri, non originari, forse di una natura differente, sulla quale si trasferisce la propria ignoranza. Questo senza negare, in nessun modo, l'esistenza di migrazioni successive da altri punti della terra, particolarmente quelle che andarono producendosi in un passato distante dal nostro tempo storico. Edmundo O'Gorman, nel suo libro La invención de America (Fondo Cultura Economica, Mexico 1977) dimostra che la 'scoperta' dell'America è piuttosto la 'invenzione' dell'America, e noi aggiungiamo che questo fatto, lontano dall'essere una realtà storica inconfutabile tale quale oggi si immagina, fu, dal punto di vista del Vecchio Mondo, la 'ìdea' di una scoperta, dal momento che il Nuovo Continente non era parte della descrizione geografica del pensiero europeo sul finire dei secolo XV e agli inizi dei XVI. D'altra parte non si conoscevano ancora in quei tempi le 'prove' geologiche e archeologiche della giovinezza dei Nuovo Mondo. 
5 Quando ci riferiamo al simbolo, deve essere chiaro che si tratta tanto di espressioni grafiche o visuali, come di miti, leggende o danze, studio dei linguaggio e della cosmogonia; il concetto di spazio, tempo e numero, l'agricoltura, la medicina, e i riti della loro vita quotidiana, etc..
6 E interessante rimarcare che il Messico fu invaso nel 1519 e il Perù venti anni più tardi. Gli Indios degli Stati Uniti, Argentina ed altri paesi hanno costituito nazioni con loro proprie forme di vita fino al secolo scorso; le culture aborigene sussistono attualmente isolate in selve, deserti e montagne, in luoghi dove praticamente non è giunta la cultura europea, non si sa fino a quando.
7 Arma; 'lanzadardos', o 'atl-atl', famosi e ben visibili nelle statue dei guerrieri Toltechi, atlanti che sostenevano il Tempio di Venere a Tula (Messico). (N. d.T.)
8 La differenza fra una città-stato e la città-impero, o meglio la grande città, si può avvertire in termini architettonici nelle piramidi, che rimanevano tutte in un piccolo recinto sacro. Alla prima corrispondono quelle che sono di legno o paglia, alla seconda quelle di pietra.
9 Teotìhuacàn o "La città ove si diventa déi". Civiltà Tolteca. Monte Albàn: imponente centro archeologico della civiltà Zapoteca. (N.d.T.)
10 L'epoca classica, secondo le più accreditate datazioni ufficiali, è compresa fra il 250 e il 900 d.c.. (N.d.T.)
11 " ... Anche alcuni uomini di Xochimilco furono divorati da cani. E anche tre savi di Ehècatl ... furono divorati dai cani. Dei resto, essi andarono a consegnarsi. Nessuno E aveva portati. Avevano con sé le loro carte con dipinti [codici]. Erano quattro, uno fuggi: tre furono raggiunti, là a Coyoacàn". Miguel Leòn Portilla, Il rovescio della conquista, Adelphi, Milano 1987, pag. 62. (N.d.T.)